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lunedì 9 gennaio 2017

La Torre della Rondine

Sì, lo so, questo è il quarto libro della pentalogia di Geralt di Rivia e prima ancora ci sono due raccolte di racconti. Però il blog l’ho creato di recente, per cui parto da questo, che ho appena letto. Facciamo così, dirò qualcosa anche sull’intera saga.
Si tratta di un buon romanzo, scritto con l’insolito e brutale stile di Sapkowski. Perché brutale? Perché molti personaggi parlano proprio come parlerebbero se fossero reali e così non mancano parolacce e frasi non proprio eleganti. L’autore si è voluto distinguere anche per questo e ci è riuscito.
Nel romanzo si segue una linea narrativa principale che è quella di Ciri (vero nome Cirilla! I nomi fantasy di Sapkowski a volte sono inventati e dal suono esotico, altre ricordano sonorità francesi, italiane, tedesche, altre ancora sono proprio nomi esistenti), anche se la narrazione non è lineare. Non si parte dalla fine del romanzo precedente, “Il battesimo del fuoco”, ma dalla fine di questo! Un singolare eremita, Vysogota (a proposito di nomi!) trova Ciri in fin di vita e la salva curandola. Durante la convalescenza Ciri gli racconterà quello che è accaduto dopo “Il battesimo del fuoco”, con una narrazione che ogni volta parte in prima persona, poi prosegue in terza persona dal punto di vista di Ciri e continua da un punto di vista esterno, descrivendo anche eventi che Ciri non può aver visto. Solo alla fine Ciri lascerà Vysogota e la descrizione degli eventi riprenderà il suo corso naturale.
Ciri
La seconda linea narrativa è quella di Geralt, che in una saga dedicata a Geralt di Rivia uno si aspetta che se ne parli. Lo strigo, alla guida dell’improbabile gruppo formato dal poeta e menestrello Ranuncolo (nome originale in polacco Jaskier, tradotto letteralmente), dalla cacciatrice e fiancheggiatrice di Scoia’tael e driadi di Brokilon Milva (ma il vero nome è Maria Barring), dal soldato traditore nilfgaardiano, che poi non è nilfgaardiano e che in passato aveva tentato due volte di rapire Ciri Cahir Mawr Dyffryn aep Ceallach (ma lo chiamano solo Cahir), dal vampiro pentito Emiel Regis Rohellec Terzieff-Godefroy (ma lo chiamano solo Regis) e dalla criminale Angoulême che si aggiunge in questo romanzo. La compagnia, che dal romanzo precedente attraversa scenari di guerra poco piacevoli, sta ancora cercando di raggiungere Ciri, senza sapere esattamente dove sia, né come fare a trovarla. Questa linea narrativa parte e riprende più volte con la lettura delle cronache scritte e romanzate da Ranuncolo, per poi procedere con una narrazione esterna in terza persona.
Geralt
Una terza linea narrativa è quella della maga Yennefer di Vengerberg, anch’essa alla ricerca di Ciri. Questa linea compare verso la fine del romanzo, anche se in parte si svolge all’inizio e in parte viene narrata dal punto di vista dell’altra maga, Triss Merigold, che arriva solo a un certo punto. In pratica Sapkowski si è divertito a giocare con la sua stessa narrazione, aggiungendo un pizzico di caos in più.
Yennefer

Quella velata ironia e quel non prendersi mai sul serio che aveva caratterizzato soprattutto le prime due raccolte di racconti si è ormai persa, lasciando spazio alla drammaticità della pentalogia, con Geralt, l’eroe ferito che non riesce a portare a termine la sua impresa e ormai non è neppure più il principale protagonista (il effetti chiamarla “La saga di Geralt” è più un’operazione commerciale, per attirare coloro che conoscono il celebre videogioco tratto dalle opere di Sapkowski) e Ciri che viene sempre più travolta dagli eventi.
Forse è il migliore romanzo della serie (ma non ho ancora letto l’ultimo), anche se ormai si è discostato molto dai racconti iniziali, per cui, se il lettore si aspetta di trovare qualcosa di simile ai racconti, si ritrova con qualcosa di ben diverso. Anche i personaggi minori, cui è dedicato spazio, risultano ben delineati. Una pecca è che questo non arrivare mai al dunque, sicuramente voluto da Sapkowski, coi personaggi, soprattutto il gruppo di Geralt, che “brancolano nel buio”, angosciati dal loro senso si impotenza, alla lunga lascia un po’ delusi.

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