Come sempre accade con Jordan, l'inizio di ogni romanzo della saga riprende esattamente le vicende del romanzo precedente. Anche questa volta, infatti, la regola viene rispettata e Il sentiero dei pugnali ci permette di riprendere esattamente la narrazione delle vicende lette ne La corona di spade.
A parte qualche capitolo o parte di capitolo che fanno eccezione, quest'ottavo volume della lunghissa saga di Robert Jordan, terminata da Brandon Sandreson, porta avanti quattro distinte linee narrative principali.
Una linea narrativa è quella di Perrin, apparentemente in rotta con Rand, che alla guida di un esercito composito avrà il compito di arginare la follia dei Fautori del Drago guidati da Masema e contemporaneamente allearsi con la regina del Ghealdan Alliandre. Con Perrin anche la moglie Faille, Berelain e altri personaggi minori, fra cui alcuni importanti incontrati per strada che è bene non spoilerare.
Altra linea narrativa...
è quella delle antipaticissime Elayne e Nynaeve (io non le sopporto, ma non posso dire che siano personaggi descritti male, anzi) che insieme ad Aviendha e parecchie incanalatrici (diciamo maghe per chi non conosce la saga, ma è una similitudine semplicistica), Aes Sedai, membri della Famiglia (una società segreta di incanalatrici che non sono mai riuscite a diventare Aes Sedai o che non sono mai state trovate dalla Torre Bianca) e Cercavento (incanalatrici del Popolo del Mare) cercheranno di utilizzare la Coppa dei Venti faticosamente trovata nel romanzo precedente per risistemare il clima fatto impazzire dal Tenebroso e dovranno scappare dalla seconda invasione Seanchan.
La terza linea narrativa è quella di Egwene, ormai diventata Amyrlin Seat delle Aes Sedai ribelli, che sta preparando l'assedio alla Torre Bianca occupata dall'usurpatrice Elaida. Con Egwene anche Siuan Sanche, la vecchia Amyrlin Seat deposta e quietata da Elaida, poi "risanata" da Nynaeve e l'ex comandante dell'Esercito dell'Andor, Gareth Bryne. Più, anche qui, molti altri personaggi minori.
L'ultima linea narrativa è, finalmente, quella di Rand, che bisogna aspettare più di centro pagine per leggere le sue gesta! Rand, alla guida di numerosi Asha'man (diciamo maghi, con la stessa similitudine delle incanalatrici) e di un variegato e infedele esercito, si è spostato nell'Altara per tentare di fermare l'avanzata dei Seanchan.
L'unico grande assente, fra i protagonisti, è, per la prima volta, Mat, che era rimasto gravemente ferito (si suppone) durante l'attacco dei Seanchan a Ebou Dar. Per la verità non è la prima volta che Jordan parcheggia momentaneamente uno dei protagonisti. Lo fece anche con Perrin nel quinto libro. In quel caso, però, Perrin era semplicemente a riposo, dato che non era coinvolto in nessuna evoluzione particolare delle trame, mentre in questo caso di Mat non sappiamo proprio nulla di quello che gli sia successo, se non è stato colpito durante l'assedio dei Seanchan.
Anche leggendo questo breve riassunto della trama, appare evidente come la complessità del mondo, dei personaggi e degli intrecci creati da Jordan abbia raggiunto livelli inimmaginabili, se paragonati all'ormai lontano primo romanzo. I personaggi sono talmente tanti che, lo confesso, non sempre riesco a ricordare con chiarezza chi siano, se si escludono i principali (ad esempio sono state presentate ormai decine e decine di Aes Sedai e incalanatrici varie) e la loro posizione rispetto alle varie trame, nonché la loro posizione rispetto a Rand e ai protagonisti. Sono alleati? Sono avversari? Sono Amici delle Tenebre infiltrati? A volte per avere chiaramente a mente tutti i personaggi e gli avvenimenti sarebbe necessario prendere appunti, così come avviene anche per la saga di Steven Erikson Il Libro Malazan dei Caduti, uniche due saghe, fra quelle che ho letto, che si possono paragonare per complessità.
Secondo molte recensioni di questa interminabile saga, questo volume e il successivo rappresentano il gradino più basso, salvo poi una ripresa coi romanzi successivi, fino al gran finale, grazie anche alla nuova linfa portata da Sanderson. Per la verità io questo calo così vistoso non lo percepisco e, anzi, questo ottavo romanzo, pur non essendo fra i migliori, resta un ottimo romanzo, nel quale tutti i personaggi coinvolti continuano a evolvere, trasformandosi via via in personaggi diversi, proprio a causa delle esperienze che vivono. E in questo mi viene da dire che Jordan sia un maestro. Già non è semplice gestire così tanti personaggi come quelli che animano questa lunga saga, ancora più complesso è riuscire a caratterizzarli tutti come ha fatto il compianto scrittore di Charleston, difficilissimo è farli evolvere. Non solo quindi non abbiamo personaggi tagliati con l'accetta, ma soggetti con una complessità di caratteri e background estermamente dettagliati, ma anche un progressivo cambiamento degli stessi. Rand, Perrin ed Egwene (e ci sarebbe anche Mat, ma di lui qui non leggiamo nulla) non sono più i timidi ragazzini dei Fiumi Gemelli e così anche tutti gli altri personaggi sono profondamente cambiati. Rand, l'incanalatore maschio più potente, destinato a impazzire e a morire in occasione di Tarmon Gai'don, l'ultima battaglia col Tenebroso, ha accettato il suo tragico destino e si è trasformato in una macchina, con un cuore freddo come un blocco di ghiaccio.
L'unico elemento discutibile di questi romanzi (del nono ovviamente ancora non posso scrivere) è che, seppur scritti molto bene e sempre avvincenti, sembra piuttosto chiaro come Jordan abbia avuto l'obiettivo di allungare il brodo. Anche se, non bisogna mai sottovalutare Jordan.
In questo romanzo, infatti, come già in parte era accaduto col precedente, gli avversari dei protagonisti non sono tanto il Tenebroso, le sue varie creature e i Reietti, ma altri umani che, a prescindere dai piani del Tenebroso e dalle manipolazioni degli Amici delle Tenebre, complottano per obiettivi personali. Così come una delle attuali guerre in corso è quella coi Seanchan, invasori venuti da ovest che, forse, avrebbero anche potuto non esserci (anche se, va detto, già nel primo romanzo il Tenebroso disse che fu lui a spingere Artur Hawkwing ad attraversare l'oceano e che sarebbe tornato). Però, malgrado quest'impressione, Jordan rimane, anche in questo romanzo, uno scrittore estremamente avvincente, in grado di scrivere migliaia e migliaia di pagine rimanendo sempre legato a una macrotrama di fondo che, evidentemente, nella sua testa è sempre stata piuttosto chiara. Anzi, la sua capacità di seminare in tutti i romanzi indizi ed elementi che si collegano fra loro ha del sorprendente. Tanto per fare un esempio, il cui paragone con La Ruota del Tempo diventa quasi umiliante, è quello di Shannara di Terry Brooks. Anche Brooks a un certo punto ha iniziato ad allungare il brodo, ma riscrivendo cose già scritte e ripetendosi all'infinito e proponendo personaggi e situazioni che erano un plagio di se stesso. Jordan, invece, è di tutt'altra pasta.
Altro immenso merito di Jordan è quello di non essere solamente riuscito a creare così tanti personaggi diversi fra loro ottimamente caratterizzati, ma di aver addirittura dettagliato le culture, gli usi e i costumi di interi regni. L'ambientazione in cui si svolge La Ruota del Tempo è grande grosso modo come l'Europa. E proprio come l'Europa è variegata!
Se vogliamo proprio fare i pignoli, grande assente di questo romanzo, così come dei precedenti, è la guerra. Le varie nazioni sono in guerra, tutto il continente è attraversato da guerre e gli stessi protagonisti guidano degli eserciti impegnati in guerre. Eppure risultano scarne (non sempre eh!) le descrizioni delle battaglie. Proprio in questo romanzo, fra l'altro il più corto dell'intera saga insieme al terzo, viene scarsamente descritta la battaglia fra l'esercito di Rand e quello dei Seanchan, quando, invece, avrebbe potuto generare pagine di ottimo fantasy. Ma forse questo tipo di narrazione non è proprio nelle corde di Jordan, ottimo creatore di mondi e intrecci e mirabile narratore, ma... qualche difetto ce l'avrà pure lui, no?
Altro "storico" elemento critico di Jordan è la rapidità dei finali. Il compianto Robert ha scritto romanzi lunghi centinaia di pagine, salvo poi propinarci dei finali affrettati e convulsi e, per questo, non sempre chiari. Così è anche questa volta. Gli avvenimenti descritti dopo il ritorno di Rand a Cairhien (non spoileriamo!) sono frenetici e non è semplicissimo capire cosa sia successo anche se, va detto, questa volta è possibile che la mancanza di chiarezza sia voluta dallo stesso autore, che intende lasciare in sospeso gli avvenimenti, avendoci fatto conoscere ciò che è accaduto con gli occhi di Rand e Min, che non sono onniscienti. Molto più chiari, invece, i finali delle altre trame, anche veloci anch'essi.
E ora via col prossimo.
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