The box è un film di Richard Kelly del “lontano” 2009 che mi sono
sempre ripromesso di vedere, fin da quando uscì per la prima volta al
cinema in Italia, nel 2010, ma, per un motivo o per l’altro, non ci sono
mai riuscito. A scanso di equivoci, Richard Kelly è il regista dello
stupefacente Donnie Darko, film d’esordio del cineasta statunitense che,
seppur con grave ritardo divenne, meritatamente, un vero e proprio
cult. Solo che dopo Donnie Darko, che è del 2001, Kelly ha diretto
solamente, nel 2006, un certo Southland Tales, sconosciutissimo film di
fantascienza che fu un vero e proprio fiasco. E poi questo The box, che è
stato un po’ la prova del nove per capire se Donnie Darko sia stato un
caso oppure no. Film che ha raccolto recensioni molto contrastanti fra
loro, comunque dal 2009 non si registrano più pellicole dirette da
Richard Kelly, regista che non è mai stato molto prolifico, ma che non
era mai stato fermo per così tanti anni.
Ma andiamo al dunque e alla storia narrata in The box.
Siamo negli Stati Uniti, in Virginia, nel 1976. Perché proprio
quest’anno? Il film è tratto da un racconto di Richard Matheson
pubblicato nel 1970 e probabilmente Kelly si è voluto attenere
all’ambientazione originale. Ambientazione che, peraltro, gli è riuscita
molto bene. I protagonisti, Norma e Arthur Lewis (Cameron Diaz e James
Marsden) vengono svegliati all’alba da un misterioso sconosciuto che
lascia sulla porta di casa un anonimo pacco. All’interno una scatola di
legno con sopra un pulsante protetto tramite una cupola di vetro chiusa a
chiave e una lettera di un certo signor Steward che si presenterà nel
pomeriggio. L’arrivo di Steward (Frank Langella), accolto in casa solo
da Norma è scioccante. L’uomo, che ha un’orribile cicatrice che gli
deturpa sostanzialmente mezza faccia, dice a Norma che spingendo il
pulsante una persona che la famiglia Lewis non conosce morirà. In cambio
la famiglia riceverà dallo stesso Steward un milione di dollari in
contanti, contenuti in una valigetta che lo stesso mostra a Norma. Per
essere sicuro che Norma non pensi che sia un pazzo le anticipa anche una
banconota da 100 dollari. Norma e Arthur hanno 24 ore di tempo per
decidere. Nel caso in cui scegliessero di non spingere il pulsante,
dovranno restituire a Steward la scatola e non sentiranno più parlare di
lui.
Qui inizia il dilemma morale. Un milione di dollari è una cifra da
far impallidire, ancora di più in quegli anni. Magari un cittadino medio
non avrebbe il coraggio, né la volontà di uccidere un altro essere
umano anche per una cifra del genere. Ma se per farlo bastasse spingere
un semplice bottone? In più iniziano a verificarsi alcune coincidenze.
Norma, che fra l’altro è disabile, le mancano quattro dita di un piede a
causa di un episodio accaduto quando aveva 17 anni, e che lavora come
insegnante in una scuola superiore privata, perde il posto di lavoro.
Arthur, invece, è uno scienziato della Nasa che ha fatto richiesta per
essere ammesso a un programma spaziale per diventare astronauta e scopre
di essere stato rifiutato, in quanto non ha superato alcuni test, anche
se credeva di averli superati tutti.
La famiglia Lewis, c’è anche un figlio, è una famiglia comune, felice
e affiatata, ma quest’assurda situazione la sconvolgerà, anche se, va
detto, Norma e Arthur rimarranno sempre uniti. Arthur fa quello che
farebbe qualsiasi uomo di scienza: apre la scatola e all’interno trova…
nulla! Il pulsante non attiva assolutamente nulla. Come è possibile che
possa funzionare?
Il film non lo racconto tutto, però scrivo qualcos’altro, per cui da qui inizia uno SPOILER.
Norma decide di spingere il pulsante (ma il marito non la ferma) e
Steward consegna la valigetta contenente un milione di dollari ritirando
la scatola. Intanto scopriamo che un uomo ha appena ucciso
apparentemente senza motivi la moglie ed è scappato. La polizia, che
entra in casa, trova la figlia spaventata e chiusa a chiave nel bagno.
E qui iniziano i problemi.
Steward se ne va dicendo che consegnerà la scatola a un’altra
famiglia che i Lewis non conoscono e questo fa pensare ad Arthur che se
qualcuno della nuova famiglia spingerà il bottone, sarà uno di loro a
morire. Da questo punto iniziano ad accadere cose strane. Arthur riesce a
leggere i numeri della targa dell’auto di Steward e li comunica al
padre di Norma, un ex poliziotto, perché raccolga informazioni al
riguardo, ma dopo poco Norma riceve una telefonata da Steward che le
dice che ciò che stanno facendo non fa parte dei patti. Arthur e Norma,
sempre più sconvolti, incontrano persone che dicono o fanno cose
incomprensibili e… il film sbrocca.
FINE SPOILER.
Chiariamo una cosa. La tensione rimane fino alla fine. Prima per la
stranezza di quello che sta accadendo, poi, anche quando si capisce chi
c’è dietro Steward, per l’angoscia di Arthur e Norma che si trovano,
ormai, in un vicolo cieco. Il problema è un altro. Il film è stato
tratto da un racconto tutto sommato breve, che gioca esclusivamente sul
dilemma morale di Norma e Arthur che devono scegliere se diventare
responsabili della morte di uno sconosciuto, ma guadagnare un’ingente
somma o lasciar perdere l’opportunità e non dannarsi l’anima. Dal
racconto fu tratto, nel 1986, un episodio da 45 minuti della serie
televisiva Ai confini della realtà. Anche qui una storia breve.
Invece The box dura praticamente 2 ore.
E’ chiaro che per riempire 2 ore di film, per non rischiare di cadere
nella noia, è necessario aggiungere qualcosa di più. Non si può
guardare un film così lungo nel quale due persone discutono sulla
possibilità di spingere o meno un bottone! E quindi ci viene spiegato
chi è il signor Steward, chi sono i suoi “datori di lavoro”, che cosa
stanno facendo e perché. Non solo, conosciamo anche, seppur per poco
tempo, chi ha avuto la scatola prima della famiglia Lewis e chi dopo. E,
in una situazione che degenera sempre di più per la famiglia, Norma e
Arthur sono chiamati, nel finale del film, a una nuova angosciante e
terribile scelta morale che, comunque sia, sconvolgerà le loro vite.
Tutti dettagli totalmente assenti dalla trama del racconto di Richard
Matheson.
Comunque il film regge, compreso il colpo di scena finale che collega
tragicamente la seconda scelta che dovrà fare ciascuna famiglia con la
prima scelta che deve fare la famiglia successiva, anche se le dinamiche
degli accadimenti mi hanno lasciato qualche perplessità.
Ma allora perché nelle mie parole non c’è un’apprezzamento pieno?
Perché un film del genere rischia ogni secondo di passare di là e
sfociare in una retorica sinceramente esagerata. Kelly si muove
costantemente su questo limite e si capisce chiaramente che quel passare
di là, per lui non è poi una cosa negativa. Anzi, forse è proprio
l’obiettivo della pellicola. Che trasuda elementi di cristianità
inseriti volutamente nella trama. Senza andare tanto per il sottile, si
va dal sacrificio (il sacrificio finale c’era anche nel bellissimo
Donnie Darko e, mi dicono dato che io non l’ho visto, anche in Southland
Tales), al peccato originale (tre famiglie ricevono nel film la scatola
e in tutte e tre, la scelta non può che essere voluta, è la donna a
premere il pulsante).
Ecco, la promozione piena per me non c’è, proprio perché Kelly ha
voluto ricamare troppo sul soggetto che, probabilmente, rimaneva più
adatto per essere sviluppato in una storia breve, come è stato nel
racconto originale di Matheson o nell’episodio del 1986 della serie TV.
Ma la mia non è nemmeno una bocciatura. Anzi, il film resta decisamente buono.
Anche sull’interpretazione dei tre attori principali (il figlio alla
fine ha una parte minore e tutti gli altri sono comparse) le opinioni
sono contrastanti. Io gioco a scrivere recensioni, ma non sono un
esperto di cinema, per cui non so valutare tecnicamente la performace di
Cameron Diaz, James Marsden e Frank Langella. Però devo dire che ho
empatizzato coi primi due e ho trovato estremamente inquietante il
terzo, che è ciò che ci si aspettava da loro in un film del genere,
quindi direi che tutti e tre hanno fatto un buon lavoro.
The box è costato 30 milioni di dollari e ne ha incassati 33, per cui
non è stato un flop, ma non si può dire nemmeno che abbia avuto
successo. Donnie Darko, il primo lungometraggio di Kelly, poi diventato
un cult, fu un fiasco alla prima uscita ed ebbe successo solo alla
seconda uscita nelle sale, mentre Southland Tales andò malissimo. Chissà
se vedremo ancora una pellicola di Richard Kelly.
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