mercoledì 11 gennaio 2017

The box

The box è un film di Richard Kelly del “lontano” 2009 che mi sono sempre ripromesso di vedere, fin da quando uscì per la prima volta al cinema in Italia, nel 2010, ma, per un motivo o per l’altro, non ci sono mai riuscito. A scanso di equivoci, Richard Kelly è il regista dello stupefacente Donnie Darko, film d’esordio del cineasta statunitense che, seppur con grave ritardo divenne, meritatamente, un vero e proprio cult. Solo che dopo Donnie Darko, che è del 2001, Kelly ha diretto solamente, nel 2006, un certo Southland Tales, sconosciutissimo film di fantascienza che fu un vero e proprio fiasco. E poi questo The box, che è stato un po’ la prova del nove per capire se Donnie Darko sia stato un caso oppure no. Film che ha raccolto recensioni molto contrastanti fra loro, comunque dal 2009 non si registrano più pellicole dirette da Richard Kelly, regista che non è mai stato molto prolifico, ma che non era mai stato fermo per così tanti anni.
Ma andiamo al dunque e alla storia narrata in The box.

Siamo negli Stati Uniti, in Virginia, nel 1976. Perché proprio quest’anno? Il film è tratto da un racconto di Richard Matheson pubblicato nel 1970 e probabilmente Kelly si è voluto attenere all’ambientazione originale. Ambientazione che, peraltro, gli è riuscita molto bene. I protagonisti, Norma e Arthur Lewis (Cameron Diaz e James Marsden) vengono svegliati all’alba da un misterioso sconosciuto che lascia sulla porta di casa un anonimo pacco. All’interno una scatola di legno con sopra un pulsante protetto tramite una cupola di vetro chiusa a chiave e una lettera di un certo signor Steward che si presenterà nel pomeriggio. L’arrivo di Steward (Frank Langella), accolto in casa solo da Norma è scioccante. L’uomo, che ha un’orribile cicatrice che gli deturpa sostanzialmente mezza faccia, dice a Norma che spingendo il pulsante una persona che la famiglia Lewis non conosce morirà. In cambio la famiglia riceverà dallo stesso Steward un milione di dollari in contanti, contenuti in una valigetta che lo stesso mostra a Norma. Per essere sicuro che Norma non pensi che sia un pazzo le anticipa anche una banconota da 100 dollari. Norma e Arthur hanno 24 ore di tempo per decidere. Nel caso in cui scegliessero di non spingere il pulsante, dovranno restituire a Steward la scatola e non sentiranno più parlare di lui.
Qui inizia il dilemma morale. Un milione di dollari è una cifra da far impallidire, ancora di più in quegli anni. Magari un cittadino medio non avrebbe il coraggio, né la volontà di uccidere un altro essere umano anche per una cifra del genere. Ma se per farlo bastasse spingere un semplice bottone? In più iniziano a verificarsi alcune coincidenze. Norma, che fra l’altro è disabile, le mancano quattro dita di un piede a causa di un episodio accaduto quando aveva 17 anni, e che lavora come insegnante in una scuola superiore privata, perde il posto di lavoro. Arthur, invece, è uno scienziato della Nasa che ha fatto richiesta per essere ammesso a un programma spaziale per diventare astronauta e scopre di essere stato rifiutato, in quanto non ha superato alcuni test, anche se credeva di averli superati tutti.
La famiglia Lewis, c’è anche un figlio, è una famiglia comune, felice e affiatata, ma quest’assurda situazione la sconvolgerà, anche se, va detto, Norma e Arthur rimarranno sempre uniti. Arthur fa quello che farebbe qualsiasi uomo di scienza: apre la scatola e all’interno trova… nulla! Il pulsante non attiva assolutamente nulla. Come è possibile che possa funzionare?
Il film non lo racconto tutto, però scrivo qualcos’altro, per cui da qui inizia uno SPOILER.
Norma decide di spingere il pulsante (ma il marito non la ferma) e Steward consegna la valigetta contenente un milione di dollari ritirando la scatola. Intanto scopriamo che un uomo ha appena ucciso apparentemente senza motivi la moglie ed è scappato. La polizia, che entra in casa, trova la figlia spaventata e chiusa a chiave nel bagno.
E qui iniziano i problemi.
Steward se ne va dicendo che consegnerà la scatola a un’altra famiglia che i Lewis non conoscono e questo fa pensare ad Arthur che se qualcuno della nuova famiglia spingerà il bottone, sarà uno di loro a morire. Da questo punto iniziano ad accadere cose strane. Arthur riesce a leggere i numeri della targa dell’auto di Steward e li comunica al padre di Norma, un ex poliziotto, perché raccolga informazioni al riguardo, ma dopo poco Norma riceve una telefonata da Steward che le dice che ciò che stanno facendo non fa parte dei patti. Arthur e Norma, sempre più sconvolti, incontrano persone che dicono o fanno cose incomprensibili e… il film sbrocca.
FINE SPOILER.
Chiariamo una cosa. La tensione rimane fino alla fine. Prima per la stranezza di quello che sta accadendo, poi, anche quando si capisce chi c’è dietro Steward, per l’angoscia di Arthur e Norma che si trovano, ormai, in un vicolo cieco. Il problema è un altro. Il film è stato tratto da un racconto tutto sommato breve, che gioca esclusivamente sul dilemma morale di Norma e Arthur che devono scegliere se diventare responsabili della morte di uno sconosciuto, ma guadagnare un’ingente somma o lasciar perdere l’opportunità e non dannarsi l’anima. Dal racconto fu tratto, nel 1986, un episodio da 45 minuti della serie televisiva Ai confini della realtà. Anche qui una storia breve.
Invece The box dura praticamente 2 ore.
E’ chiaro che per riempire 2 ore di film, per non rischiare di cadere nella noia, è necessario aggiungere qualcosa di più. Non si può guardare un film così lungo nel quale due persone discutono sulla possibilità di spingere o meno un bottone! E quindi ci viene spiegato chi è il signor Steward, chi sono i suoi “datori di lavoro”, che cosa stanno facendo e perché. Non solo, conosciamo anche, seppur per poco tempo, chi ha avuto la scatola prima della famiglia Lewis e chi dopo. E, in una situazione che degenera sempre di più per la famiglia, Norma e Arthur sono chiamati, nel finale del film, a una nuova angosciante e terribile scelta morale che, comunque sia, sconvolgerà le loro vite. Tutti dettagli totalmente assenti dalla trama del racconto di Richard Matheson.
Comunque il film regge, compreso il colpo di scena finale che collega tragicamente la seconda scelta che dovrà fare ciascuna famiglia con la prima scelta che deve fare la famiglia successiva, anche se le dinamiche degli accadimenti mi hanno lasciato qualche perplessità.
Ma allora perché nelle mie parole non c’è un’apprezzamento pieno?
Perché un film del genere rischia ogni secondo di passare di là e sfociare in una retorica sinceramente esagerata. Kelly si muove costantemente su questo limite e si capisce chiaramente che quel passare di là, per lui non è poi una cosa negativa. Anzi, forse è proprio l’obiettivo della pellicola. Che trasuda elementi di cristianità inseriti volutamente nella trama. Senza andare tanto per il sottile, si va dal sacrificio (il sacrificio finale c’era anche nel bellissimo Donnie Darko e, mi dicono dato che io non l’ho visto, anche in Southland Tales), al peccato originale (tre famiglie ricevono nel film la scatola e in tutte e tre, la scelta non può che essere voluta, è la donna a premere il pulsante).
Ecco, la promozione piena per me non c’è, proprio perché Kelly ha voluto ricamare troppo sul soggetto che, probabilmente, rimaneva più adatto per essere sviluppato in una storia breve, come è stato nel racconto originale di Matheson o nell’episodio del 1986 della serie TV.
Ma la mia non è nemmeno una bocciatura. Anzi, il film resta decisamente buono.
Anche sull’interpretazione dei tre attori principali (il figlio alla fine ha una parte minore e tutti gli altri sono comparse) le opinioni sono contrastanti.  Io gioco a scrivere recensioni, ma non sono un esperto di cinema, per cui non so valutare tecnicamente la performace di Cameron Diaz, James Marsden e Frank Langella. Però devo dire che ho empatizzato coi primi due e ho trovato estremamente inquietante il terzo, che è ciò che ci si aspettava da loro in un film del genere, quindi direi che tutti e tre hanno fatto un buon lavoro.
The box è costato 30 milioni di dollari e ne ha incassati 33, per cui non è stato un flop, ma non si può dire nemmeno che abbia avuto successo. Donnie Darko, il primo lungometraggio di Kelly, poi diventato un cult, fu un fiasco alla prima uscita ed ebbe successo solo alla seconda uscita nelle sale, mentre Southland Tales andò malissimo. Chissà se vedremo ancora una pellicola di Richard Kelly.

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