Ogni tanto mi prendo un po' di pause col blog, perché non è che il tempo a disposizione sia proprio infinito. Però questa volta ho una giustificazione: qua in Romagna è venuta una delle più grandi alluvioni della storia d'Italia, per cui purtroppo tutte le energie sono finite lì.
Ma ho anche avuto l'occasione una sera, appena ho ripristinato la corrente elettrica in casa, per guardarmi Blood story, che da un po' di tempo aspettavo di guardarlo.
Era il 2004 quando lo svedese John Ajvide Lindqvist pubblicava il romanzo Låt den rätte komma in, tradotto in italiano col titolo Lasciami entrare. Un romanzo che parla di vampiri, ma anche di molti altri mali moderni ben più reali. Anche quello è lì pronto per essere letto. Nel 2008 Tomas Alfredson ne trasse un ottimo film, che ebbe anche un certo successo. Per quello che può avere un film svedese.
Nel 2010 Hollywood, grazie alla regia di Matt Reeves, ne ha fatto la sua versione. Un remake arrivato in sala appena due anni dopo il film originale. Cosa che a Lindqvist ha fatto molto piacere, perché gli ha dato modo di far avere al suo romanzo un pubblico mondiale. L'operazione americana deve essere piaciuta un po' meno al bravo Alfredson, dato che sicuramente Blood story ha avuto una distribuzione nettamente superiore a Lasciami entrare.
Nel 2010 Hollywood, grazie alla regia di Matt Reeves, ne ha fatto la sua versione. Un remake arrivato in sala appena due anni dopo il film originale. Cosa che a Lindqvist ha fatto molto piacere, perché gli ha dato modo di far avere al suo romanzo un pubblico mondiale. L'operazione americana deve essere piaciuta un po' meno al bravo Alfredson, dato che sicuramente Blood story ha avuto una distribuzione nettamente superiore a Lasciami entrare.
Il remake di Reeves è piuttosto fedele all'originale pellicola di Alfredson, ma non del tutto al romanzo di Lindqvist, dal quale il regista svedese si era in parte allontanato. Ma scriviamola ugualmente una breve trama.
Siamo negli Stati Uniti, nel Nuovo Messico, in una cittadina che si trova in pieno inverno e che ricorda molto il sobborgo di Stoccolma della pellicola originale. Protagonista della pellicola è Owen (Oskar nell'originale) interpretato da Kodi Smit-McPhee (protagonista anche di The Road e Alpha - Un'amicizia forte come la vita già recensiti in questo blog), un ragazzino di dodici anni, molto chiuso, introverso e timido, che sta vivendo la separazione dei genitori e subisce le angherie dei bulli della scuola, che sembrano essersi accaniti su di lui.
Un giorno, anzi, una notte, nel palazzo di Owen arrivano anche Abby, una ragazzina pure lei dodicenne e il padre anziano. Abby, Eli nella pellicola di Alfredson, è interpretata da Chloë Grace Moretz, che qui abbiamo visto in La quinta onda e in Mather/Android. Presto l'emarginato Owen scopre che la strana Abby, che cammina scalza sulla neve senza sentire il freddo e ha pure un odore diverso dalle altre persone, è in realtà un vampiro e questo la rende anch'essa un'emarginata. Non è uno spoiler, è tutto questo è anche nel trailer. I ragazzini saranno da subito attirati l'uno dall'altra e riusciranno insieme a vincere l'emarginazione che stanno entrambi vivendo.
A parte l'inizio con un flashforward o prolessi che sia, per usare l'italiano finché esiste, per il resto la pellicola di Reeves resta aderente a quella di Alfredson riproponendo alcune scene e alcuni dialoghi esattamente nello stesso modo. Anzi, alcune scene sono ricostruite in maniera quasi maniacale. Qualche differenza, a parte l'ambientazione e i nomi dei personaggi, c'è, ma si tratta di differenze minime, a parte la scabrosità, che già nella pellicola Alfredson era stata enormemente ridotta rispetto al romanzo di Lindqvist e che qui si riduce ulteriormente.
ATTENZIONE! D'ora in avanti ci sarà qualche spoiler, sia relativo a Blood story, sia a Lasciami entrare, quindi consiglio vivamente di proseguire con la lettura solo a chi ha già visto le due pellicole.
Nel film di Lindqvist Eli dice più volte a Oskar di non essere nemmeno una ragazza. Frase il cui senso non è chiarissimo, finché non arriva una scena dalla quale scopriamo che Eli è un maschio che ha subito chissà come e chissà quando delle mutilazioni sessuali. Anche Abby dice a Owen di non essere una ragazza, ma probabilmente Reeves non ha voluto calcare la mano e ha voluto lasciar sottinteso che Abby non è una ragazza nel senso che è un vampiro. E infatti anche in Blood story c'è la scena in cui Abby fa la doccia e si cambia d'abito in casa di Owen e Owen va a sbirciare, esattamente come in Lasciami entrare, ma al contrario della pellicola di Alfredson, in questo caso non vediamo quello che vede il ragazzino, per cui la frase "non sono una ragazza" non assume un particolare significato.
A parte queste differenze, Blood story risulta un'ottima pellicola, veramente ben fatta, con delle atmosfere che riescono alla perfezione, molto incentrata sui due personaggi principali, ancora di più di Lasciami entrare e, soprattutto, del romanzo originale. Incentrata quindi sulle due solitudini e sulle due emarginazioni che s'incontrano e si piacciano vicendevolmente, un incontro che permette ai due ragazzini di trovare un reciproco appoggio, vuoi per necessità, vuoi per gli effettivi sentimenti che s'instaurano fra i due. Owen e Abby sono due preadolescenti che vivono in un mondo che non fa per loro, ma che possono creare un loro mondo fondato nella coppia che si va a creare. Coppia che resta però in parte innocente, perché appunto sono preadolescenti, anche se una dei due lo è da molto tempo, come dice la stessa Abby e diceva in Lasciami entrare Eli. Quindi così come l'originale Lasciami entrare, Blood story è una pellicola estremamente delicata, un horror anomalo che riduce al minimo il contenuto horror per dedicarsi fondamentalmente ad altro. Curioso che nella locandina si legga "il miglior horror americano degli ultimi 20 anni", frase attibuita a Stephen King. Se a Hollywood per fare il miglior film horror degli ultimi anni devono produrre un ramake di una pellicola europea di appena 2 anni prima, significa che di idee ne sono rimaste poche...
Ecco gli originali svedesi: Oskar ed Eli |
Un plauso va fatto a entrambi i protagonisti che malgrado siano estramente giovani (Blood story è uscito nel 2010, quando Kodi Smit-McPhee aveva 14 anni e Chloë Grace Moretz ne aveva 13) sono a mio avviso impeccabili. Ma stiamo parlando di attori che, malgrado l'età, avevano già recitato in 5 pellicole più qualche cortometraggio il primo e addirittura 14 la seconda, non proprio due novellini. Kodi Smit-McPhee ha un aspetto veramente quasi alieno in certi fotogrammi e avebbe avuto quello che si chiama physique du rôle per interpretare il vampiro, ma se la cava comunque veramente bene nei panni dell'emarginato Owen. Chloë Grace Moretz è un po' troppo bella per interpretare la vampira ideata da Lindqvist, anche se ingentilita da Alfredson e ancora di più da Reeves, ma anche nel suo caso riesce a dar vita a una Abby nello stesso tempo fragile e inquietante. Dopo la delusione de La quinta onda, continuo a ricredermi su questa ragazza e penso sempre di più che la pellicola di Blakeson sia stata solo un incidente di percorso. Perché puoi anche essere brava a recitare, ma se la trama fa acqua da tutte le parti e il regista non sa come affrontare la cosa, il risultato è comunque scadente.
Mi sento di consigliare vivamente Blood story, sia a chi non conosce nulla del pregresso, sia a chi ha visto e/o ha letto Lasciami entrare.
Vero, nonostante sia un remake americano è davvero valido!
RispondiElimina"Nonostante sia un remake americano" mi ha fatto ridere! Non amo particolarmente i remake, soprattutto se fatti pochi anni dopo l'originale, ma non sono contrario a prescindere. In questo caso l'ho apprezzato particolarmente
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