Ogni tanto cado nel tunnel delle serie TV. Lo so, mi capita. Devo confessare che capita anche più spesso di quanto non traspaia in questo blog, ma in genere le abbandono, deluso, dopo i primi episodi. Dopo la delusione di 1899, serie che mi è piaciuta, ma che Netflix ha deciso di non finanziare più, ero alla ricerca di qualcosa di anomalo e sono arrivato a questo The OA (già il titolo è bizzarro) del 2016, sarie suddivisa in due parti non stagioni, ma poco cambia, di 8 episodi l'una.
Sicuramente questa è l'epoca delle serie e il periodo Covid, che ci ha bloccato in casa a lungo, unito alla diffusione ormai capillare delle piattaforme di distribuzione in streaming, ne hanno amplificato gli effetti. Solo che sta diventando complesso trovare serie che siano di livello elevato, anche perché, rispetto a decenni fa, le esigenze e le aspettativa sono notevolmente incrementate.
Ma ne vogliamo parlare o no della trama di The OA?
Effettivamente c'è un motivo ben preciso se sto indugiando.
Il motivo è che The OA è una serie che è veramente difficile inquadrare. Intanto non è semplice capirne il genere e la stessa trama si presenta allo stesso tempo coraggiosa, bizzarra e ricca di spunti. Solo dai contenuti dei primi due episodi di serie standard se ne potrebbero ricavare almeno tre o quattro!
Ma sto ancora tergiversando!
Protagonista di The OA è Prairie Johnson, una ragazza adottata che un certo giorno è scomparsa di casa, per poi ricomparire sette anni dopo. Come? Intanto Prairie prima di scomparire era cieca, ma al suo ritorno nel mondo ha riacquistato la vista. E poi presenta delle stranissime cicatrici sulla schiena. Tutto qui? Ovviamente no. Prairie, dopo non aver più fatto avere notizie per sette anni, è tornata tentando il suicidio, gettandosi giù da un ponte.
Cos'è successo in quei sette anni? E' un mistero. Ma in realtà Prairie, che dice di volersi far chiamare "il PA" (OA nell'edizione in inglese, nonché titolo della serie), lo sa benissimo, solo che non lo dice! Lo racconterà nel corso delle otto puntate a cinque persone, diversissime fra di loro, raccolte in vario modo nel contesto sociale in cui Prairie vive. Cinque persone accumunate unicamente dall'avere una vita non propriamente facile, che si troveranno ad ascoltare i racconti della ragazza ogni sera, in una casa abbandonata. Ma per farlo dovranno lasciare aperta la loro porta di casa.
Tutto questo (e molto altro!) è solo nel primo episodio, ma qui già mi fermo, perché la trama di The OA è talmente strana, bizzarra e insolita che lascio il piacere di scoprirla per strada a chi avrà intenzione di cimentarsi nella visione. Sì, perché anche se la serie è del 2016 (la seconda parte è del 2019 e la terza chissà se e quando arriverà) è ancora disponibile sulla piattaforma Netflix.
The OA è bizzarra anche nel modo in cui viene presentata. Di solito nelle serie ogni puntata ha una lunghezza più o meno fissa, tranne a volte l'ultima o le ultime, che tendono ad allungarsi. Il primo episodio dura ben 71 minuti, poi tutti 60 fino al quinto, il sesto 31 minuti, il settimo 41 e l'ottavo 50. In pratica il regista Zal Batmangli, nonché anche sceneggiatore insieme alla stessa Brit Marling che interpreta Prairie, ha deciso che ogni episodio doveva durare il tempo che serviva per narrare i contenuti dell'episodio stesso. E anche il titolo e la sigla Batmangli li inserisce un po' quando gli pare, anche più vicino alla fine che all'inizio dell'episodio stesso!
La prima parte/stagione della serie racconta due storie parallele. Una è la stessa che Prairie racconta all'interno della casa abbandonata, in minima parte dedicata all'infanzia e poi riferita ai sette anni in cui è scomparsa, rapita dal dottor Hap (Jason Isaacs) e sottoposta ai suoi esperimenti sulla premorte, insieme ad altri prigionieri, Homer (Emory Cohen), Scott (Will Brill), Rachel (Sharon Van Etten) e da un certo punto anche Renata (Paz Vega). L'altra storia si riferisce, invece, al presente e all'interazione di Brit coi suoi genitori (Scott Wilson e Alice Krige) e le cinque persone cui viene raccontata la storia del passato, Betty (Phyllis Smith), Steve (Patrick Gibson), Jesse (Brendan Mayer), Alfonso (Brandon Perea) e Buck Vu (Ian Alexander). Ognuno di questi ha una storia complessa alle spalle, sulla quale, volendo, si potrebbe anche ricavare una serie intera. E invece per lo più sono e restano poco più comparse, pur col loro momento da protagonisti. Comparse che comunque sono fondamentali per la trama complessiva.
Bravi anche gli ideatori della serie a mantenere sempre più o meno flebile, più o meno intuibile, il fatto che Prairie si sia inventata tutto riguardo quello che le è successo durante la prigionia. Quello che stiamo vedendo è una storia "vera" o è l'invenzione di una persona alla quale deve essere sicuramente successo qualcosa di terribile, ma che si è creata un mondo immaginario? Non lo scopriremo se non durante il sorprendente, quanto improbabile finale. Anzi, ne avremo la certezza, forse, solo con la seconda parte/stagione!
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