La cura dal benessere è una pellicola che già parte con un titolo insolito e stimolante e un trailer disturbato. Le premesse ci sono tutte. Vediamo la trama, senza spoiler. Anche se chi lo voleva vedere l'ha già visto e gli altri, dopo le tante stroncature, non credo lo vedranno più.
Il protagonista è Lockhart, un giovane wolf of Wall Street (non è un caso che l'attore, un bravo Dane DeHaan, assomigli a DiCaprio) riceve l'incarico, da parte dell'agenzia per la quale lavora, di andare a recuperare l'amministratore delegato, Roland Pembroke (Harry Groener), indispensabile per firmare i documenti in vista di un'importante fusione societaria, che ha abbandonato il mondo per rifugiarsi in una clinica svizzera specializzata nel curare persone ricche e facoltose ammalate di benessere, stress e altri mali moderni.
La clinica sorge all'interno di un castello fuori dal mondo, situato nelle alpi svizzere, in un luogo in cui nemmeno i cellulari funzionano. I pazienti sembrano vivere in un idillio. Giocano a carte, fanno ginnastica, si svagano dimenticando i pensieri e le preoccupazioni della vita abituale e seguono un programma di trattamenti basati sull'acqua "miracolosa" proveniente dalla sorgente che si trova direttamente sotto al castello. E, soprattutto, sembra che non se ne vogliano andare.
Il personale pare tutto gentile e sorridente.
C'è, però, anche un oscuro segreto. Duecento anni prima il barone che viveva nel castello, ossessionato dalla razza pura, che ovviamente era la sua, sposò e ingravidò la propria sorella. Questo fece infuriare la Chiesa locale e gli abitanti del luogo, che incendiarono il castello. L'attuale propietario della struttura, il dott. Heinrich Volmer (Jason Isaacs) ha ricavato la sua clinica privata recuperando e ristrutturando le rovine.
Tutti sono molto gentili e disponibili, ma i problemi sorgono quando Lockhart chiede di vedere Pembroke. Gli orari delle visite sono già terminati e Pembroke è in trattamento. Lockhart, costretto a tornare in paese per ritentare il giorno dopo, è coinvolto in un brutto incidente causato da un cervo che casualmente attraversa la strada e si risveglia all'interno della clinica, con una gamba ingessata e trasformato da visitatore a paziente. E così, un po' alla volta, Lockhart inizia a sperimentare gli insoliti metodi di cura della clinica di Volmer e a visitarne gli inquietanti ambienti, conoscendone gli ospiti, fra i quali spicca la giovane e straniata Hannah (Mia Goth), paziente "speciale" di Volmer, un'ingenua bambina nel corpo di una ragazza.
La clinica diventerà sempre più misteriosa e le stranezze aumenteranno sempre più e... qui mi fermo.
Va detto senza indugio, fin qui la pellicola è perfetta. La trama è insolita e accattivante. I misteri invitano e incuriosiscono. I personaggi sono azzeccati e così pure gli attori. In più Verbinski ha un'attenzione e una cura quasi maniacale per i particolari, al punto da creare delle ambientazioni veramente inquietanti. L'estetica del film è ineccepibile. Il film deve molto a quell'ottima opera che è Shutter Island di Martin Scorsese il cui protagonista è, guarda caso, proprio DiCaprio cui DeHaan assomiglia molto).
E allora perché tante stroncature?
Perché manca tutto il resto!
Il film è tutto qui e fin qui è perfetto. C'è un'idea interessante, un'embrione di trama che funziona, un'ambientazione valida, un'estetica ottima, degli attori scelti correttamente, ma la trama... è un gigantesco buco nero!
Tutto quello che accade, da qui in poi, non ha spiegazione e accade unicamente per consentire a Verbinski di girare le scene (ottime) che poi ci farà vedere. Sembra quasi che il regista avesse in mente delle scene che gli sarebbe piaciuto girare e la trama sia stata scritta per consentirglielo. Ma è un po' poco per farci sopra un film! Mi sta bene quando non tutto si capisce e la trama resta oscura, criptica ed enigmatica. Ma non quando non ha senso ed è contradditoria!
E poi La cura dal benessere dura 146 minuti! Non è facile fare un film horror/thriller così lungo. Tenere alta la tensione per quasi due ore e mezza è un'impresa e durante la visione questa lunghezza insolita per il genere si sente spesso.
ATTENZIONE, SPOILER. Leggete solamente se avete già visto il film.
Viene detto che Volmer stava cercando una cura per l'infertilità, ma pare abbia scoperto una sorta di elisir di lunga vita. E va bene, ci può stare. Ma poi non si capisce perché lo usi facendo rimanere la figlia piccola, dato che il suo obiettivo è che possa crescere e diventare matura. Non si capisce neanche quali siano esattamente gli effetti dell'elisir. I dipendenti di Volmer lo utilizzano e sembrano tutti giovani. Ma volutamente ci viene fatto vedere il seno di una giovane e avvenente infermiera che si rivela essere tutt'altro che giovanile. Perché Verbinski, così maniacalmente attento ai particolari, ce lo fa vedere, se poi non ha nessun significato per la trama?
E poi queste proprietà da dove vengono? Dalle acque miracolose che consentono alle onnipresenti anguille di vivere 300 anni o dalle stesse anguille? Che poi le anguille hanno comportamenti diversi. Nella grotta divorano i corpi che cadono nell'acqua, ma in altri casi non lo fanno. E come fa Volmer a controllare le persone che sono "possedute" (non so se sia il termine giusto) dalle anguille? Lo stesso Lockhart, che è evidente che ha capito che nella clinica c'è qualcosa che non va, consente di sperimentare i trattamenti. E' vero che lui stesso, seppur giovane, corrisponde perfettamente all'identikit dei soggetti che si rivolgono alla clinica (ha anche un tragico evento del passato sepolto nella mente), ma vediamo che praticamente fino alla fine è unicamente interessato a recuperare Pembroke. Perché ci casca?
Così come è del tutto eccessiva e male incastrata nel film tutta la parte in cui a metà pellicola Lockhart e Hannah fuggono in bicicletta nel vicino paese. Anche qui Verbinski ci vuole far vedere alcune scene che è stato bravo a girare, ma sembrano tanto buttate lì. Compreso il veterinario splatter che, vedendo la cartella clinica di Pembroke rubata da Lockhart fornisce un invidiabile parere medico. Giusto prima di uccidere una mucca tagliandole il ventre dal quale fuoriescono un feto bovino e un sacco di immancabili anguille. Ambientazioni inquietanti e scene perfette, ma incollate con lo sputo. E perché Lockhart, ormai soggiogato dalle anguille che dovrebbe avere in corpo, così come gli altri pazienti, ritorna lucido semplicemente toccando la statuina della madre datagli da Hannah e che lui precedentemente le aveva regalato? E' così debole il controllo di Volmer?
E poi un finale fin troppo banale, fatto anch'esso di scene che dovevano piacere al regista.
FINE SPOILER. Riprendono i commenti.
Del regista non si può dire nulla. Autore dell'ottimo horror The Ring nell'ormai lontano 2002 (anche se in quel caso la trama non fu farina del suo sacco, tanto che il film fu un ramake di una pellicola giapponese di qualche anno prima, a sua volta tratta da un romanzo), ma anche dei primi tre capitoli della fortunata saga dei Pirati dei Caraibi (anche in quei casi soggetto e sceneggiatura furono di altri autori).
Verbinski si cimentò per la prima volta nella stesura di un soggetto nel 2011 con Rango, film d'animazione vincitore anche di un premo oscar, ma ai tempi fu affiancato dall'esperto John Logan (nel suo curriculum, fra le altre cose, Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, Il Gladiatore di Ridley Scott, The Aviator di Martin Scorsese e Sweeney Todd di Tim Burton) e James Ward Byrkit (regista e sceneggiatore di Coherence).
Dopo Rango e prima del nuovo La cura dal benessere, è arrivato lo sfortunato Lone Ranger del 2013, in cui Verbinski tentò di replicare il Jack Sparrow di Depp in un'ambientazione western, film che forse ha raccolto meno di quello che meritava, ma in quel caso Verbinski si limitò alla sola regia (oltre che alla produzione).
E così si arriva a La cura del benessere, in cui Verbinski scrive per la prima volta il soggetto della pellicola che gli piacerebbe girare, affiancato da Justin Haythe, autore già di altre pellicole quali In ostaggio con Robert Redford, Revolutionary Road di Sam Mendes con Leonardo DiCaprio (toh, ancora lui!) e Kate Winslet e Snitch - L'infiltrato con Dwayne Johnson. Justin Haythe riscrisse anche il soggetto e la sceneggiatura di The Lone Ranger, inizialmente scritti da Ted Elliott e Terry Rossio, due autori affermati con parecchi film di successo alle spalle.
Insomma, regista e sceneggiatore, a parte il passo falso del 2013, sono capaci, ma forse questa volta si sono un po' fatti prendere la mano. A questo va aggiunta una bizzarra, discutibile e aggressiva campagna di promozione, basata su in sito di fake news che ha diramato notizie false correlate alle atmosfere del film, fra cui un fantomatico e segretissimo incontro fra Trump e Putin in una spa europea e l'imminente conversione di Lady Gaga all'Islam, poi ripresa anche da altri siti poco credibili (che poi, con tutta la buona volontà, non si capisce come quest'ultima cagata potesse essere correlata al film...).
Ma alla fine La cura del benessere raggiunge la sufficienza?
Forse no, malgrado un buon Dane DeHaan che aspettiamo di vedere nel nuovo Valerian e una buona regia al netto delle cagate.
Da vedere?
Dipende. Se vi bastano una buona ambientazione e delle buone scene, ma senza trama, allora sì. Altrimenti c'è altro.
Date le sue indubbie qualità, mi piacerebbe rivedere Verbinski al lavoro su un horror, ma magari con in mano una sceneggiatura più valida.
sono sincera: avrei voluto andare al cinema a vederlo, ma la lunghezza mi ha un po' spaventata... sicuramente lo recupererò quando passerà su Sky, o su altre piattaforme.
RispondiEliminaL'attore ha una profondità che inquieta sempre un tantino, e la trama mi fa venire qualche brivido, sono stata tanto brava da evitarmi gli spoiler
Allora aspetto un tuo commento dopo che l'avrai visto.
EliminaSì, l'eccessiva lunghezza è sicuramente uno dei problemi del film, ma non il peggiore.
DeHaan è in bravo attore, non c'è dubbio.
Intanto grazie per essere passata di qua