martedì 27 settembre 2022

Neverwinter

 

Dopo un primo romanzo della tetralogia in chiaroscuro, Gautlgrym, che mi aveva lasciato parecchio perplesso su come Salvatore aveva introdotto le nuove trame, ecco finalmente arrivare il secondo volume, nonché il ventiquattresimo della saga della Leggenda di Drizzt, in cui la narrazione riprende fin da subito coi ritmi cui ci ha abituato lo scrittore del Massachussetts.

Come ho già avuto modo di scrivere per il primo volume, so benissimo che questi romanzi non sono proprio il massimo della letteratura e non sono nemmeno il massimo del genere fantasy, sia ben chiaro, ma ho iniziato a leggerli quando ero praticamente un bambino e per di più sono un giocatore di Dungeons & Dragons da più di 30 anni, per cui li considero ancora una piacevole divagazione.

Ma andiamo alla trama.

Sistemato il caos del primo romanzo, abbiamo Drizzt e la sua nuova alleata Dalhia impegnati a cercare vendetta per la distruzione di Neverwinter. E a dir la verità l'affascinante, misteriosa e ambigua elfa, più che per Neverwinter, sembra interessata a cercare vendetta per questioni sue personali.

Dall'altra parte troviamo la strega del Thay, Sylora Salm e la pazza lich Valindra, al servizio, insieme a tutti gli altri Ashmadai, seguaci del demone Asmodeus, del potente lich Szas Tam. Ma entrano in gioco anche gli Shadovar, guidati dal thiefling Herzgo Alegni e i potenti di Luskan. Tutto chiaro? Ovviamente no, se non conoscete, oltre al romanzo precedente, anche un po' la storia di Drizzt e, soprattutto, la sterminata e dettagliatissima ambientazione Forgotten Realms. Sì, perché Forgotten Realms è un'ambientazione del gioco di ruolo Dungeons & Dragons che è stata definita nei minimi dettagli e all'interno della quale sono stati prodotti numerosi romazi, molti scritti proprio da Salvatore.

All'interno di questa saga assistiamo anche all'evoluzione di Drizzt. L'uomo, anzi, l'elfo, anzi, il drow è ormai rimasto solo, dato che quasi tutte le persone che hanno fatto parte del suo passato sono morte, sia perché sono state uccise, sia perché sono invecchiate e, come si sa, gli elfi vivono secoli. E la compagnia di Dahlia, che sembra destinata a diventare qualcosa di più di una semplice alleata, inizia a intaccare alla base le certezze morali nel famossissimo spadaccino con le orecchie a punta, la pelle nera e i capelli bianchi. Sì, perché Drizzt, malgrado le sue oscure origini nel Buio Profondo, retaggio della razza dei drow, è un personaggio mosso da motivazioni morali di tutto rispetto. Motivazioni morali che vengono messe in discussione dalla meno integerrima Dahlia, in un mondo che si è evoluto, dato che sono trascorsi decenni e che non assomiglia più a quello in cui Drizzt è diventato una specie di leggenda.

In questo secondo romanzo e, azzardo a dire, probabilmente in tutta questa quadrilogia, la cosa più interessante è quindi l'evoluzione del personaggio più amato inventato da Salvatore e diventato figura iconica del fantasy. Come scrivevo nella recensione del precedente romanzo, l'elevato numero di volumi scritti ha probabilmente portato a una fase di stanca (ma ciò è forse indotto anche dal fatto che io, lettore di questi romanzi, inizio ad avere qualche anno in più) e, se si vuole continuare a descrivere le gesta dell'indomito Drizzt, è indispensabile un rinnovo. Da questo punto di vista, quindi, pare che l'intento sia riuscito.

Ciò che, invece, sembra non aver ancora raggiunto gli obbiettivi, almeno quelli che io ho intuito, è il rinnovo della trama. La trama di Neverwinter, infatti, sembra non decollare completamente e non raggiunge mai le vette (si fa per dire) raggiunte dalle trame dei cicli precedenti. Così come il principale personaggio nuovo introdotto, Dalhia, non scatena al momento l'aspettata empatia necessaria per appassionarsi alle vicende.

Questo volume è quindi da leggere? Difficile dire di no, se vi siete appassionati alla vicende di Drizzt e, soprattutto, se siete appasisonati di D&D e in generale dei giochi di ruolo fantasy, ma anche durante la lettura, sinceramente io mi chiedo se non fosse stato più giusto porre la parola fine a questo ciclo di romanzi al termine del ventiduesimo.

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